Come abbiamo avuto modo di
vedere in articoli precedenti, le piu’ prestigiose Accademie riconosciute
ancora oggi come capostipiti dell’equitazione intesa come “Arte Equestre”
nascono a Napoli. Dopo Federigo Grisone ed il suo primo trattato strutturato
sulla formazione del cavallo, non possiamo esimerci dal ricordare un altro
pilastro dell’insegnamento: il napoletano Giovan Battista Pignatelli.
Non
abbiamo importanti resoconti della sua vita, e ciò che conosciamo è dovuto
essenzialmente alle rendicontazioni dei cavallerizzi francesi, Salomon de la Broue e Antoine de Pluvinel.
Nacque nel 1525, di origine calabrese, si trasferì a Napoli per apprendere
l’Arte Equestre. Molto probabile che fu allievo di Federigo Grisone e meglio di
lui è considerato come l’iniziatore del’Equitazione Classica.
Di
Lui La Broue diceva:
[…] E’ tra tutti i piu’ degni maestri che ho
conosciuto, attribuisco la suprema lode al Signor Giovan Battista Pignatelli,
la cui memoria deve essere sempre onorata tra gli uomini di cavalli, come
quella di colui che per primo ha inventato la giustezza delle nostre scuole, e
che ha cominciato a mostrarci il vero ordine e le piu’ belle proporzioni di tutte
le nostre arie e maneggi bassi, medi e alti. […]
Le
opere di De La Broue e del Pluvinel favorirono la conoscenza e diffusione del
nome di Pignatelli.
Pignatelli fu allievo di Alessandro Conestabile, e pare che il suo insegnamento
fu realizzato solo in tarda età.
Fondò
una Accademia di Equitazione vicino al proprio palazzo, nei vecchi edifici
della cavallerizza, dove oggi sorge il Museo Archeologico di Napoli. Alla sua
scuola affluirono allievi di tutte le parti d’Italia e come abbiamo potuto
vedere, d’Europa. I Corsi dal Pignatelli duravano diversi anni.
Mario
Gennero, nella sua pubblicazione dell’Arte Veterale attribuita al Pignatelli,
precisa che l’influenza del Maestro Napoletano, come per quella del Grisone
aggiungo io, era dovuta all’influenza dell’equitazione bizantina sviluppatasi a
Napoli già dal 1134. In questo anno infatti, sette maestri di equitazione
bizantini vennero incaricati dal Re Michele IV di fondare una scuola equestre.
I metodi della Scuola Bizantina non utilizzavano né morsi né speroni severi, in
contrapposizione a quelli degli spagnoli; erano basati sulla padronanza del
cavallo da parte del cavaliere mediante un solido assetto e la voce, mentre
agivano sull’animale con continue ricompense.
[…] I soldati si sedevano in sella calmi, la
spada in mano e attraverso leggeri movimenti del pugno e dei talloni
richiedevano al cavallo di spostarsi di lato, di effettuare figure di alta
scuola, di caricare, di fermarsi, di girare, di compiere piroette senza che
l’avversario avesse il tempo di vedere qualcosa. […]
Pignatelli
si basò su questi insegnamenti e su quelli degli spagnoli per rendere efficace
un suo metodo personalizzato. Lo stesso de Pluvinel amava sempre ricordare il
proprio Maestro dicendo che il “cavaliere
doveva essere avaro di colpi e prodigo di carezze”.
Il Morso “Pignatelli”
[…] Questa figura di briglia, che Pignatella si
dice, fu dal Sig. Giovan Battista Pignatello ritrovata che tanto singolarmente
questa dottrina si esercitò; il fine della sua invenzione fu perché porgesse libertà
alla lingua e che il chiappone facendosi addietro al raccorre che si fa della
briglia… non havesse forza di offendere il palato, con qual offesa, potrebbe il
cavallo soggiogarsi, o porsi piu’ sotto. Avertendo che cotal artificio si è
soluto applicare, così con la briglia di lavoro, come anchora per cavalli
leggieri alla mano, con cannoni, e scacce, e per contrario con altri meritevoli
di maggior castigo, con Meloni, Bottoni, Falli, o Peri alla riversa di altri…
[…]
E’
Pirro Antonio Ferraro a citare i tre morsi a cui Pignatelli diede il nome.
Elaborò delle strutture meno coercitive dei morsi spagnoli convinto che non era
il morso a sottomettere il cavallo ma la mano. Creò quindi un morso da poter
far passare agiatamente la lingua.
Morso "Pignatelli" |
La Sella “Pignatelli”
Oltre
allo sviluppo dei morsi, Pignatelli ideò anche una sua personale Sella da
Scuola che sostituì per oltre due secoli quelle spagnole. In pratica ridusse
l’arcione dotando la sella di un pomo, che predette poi quello della attuale
sella americana. Quest’ultimo serviva per mantenersi durante le arie di alta
scuola e sia per legare le redini. Ricordiamo che il tipo di assetto era alla “brida” e cioè dritto e lungo di gambe.
Tra
le altre novità introdotte dal Pignatelli anche il “Cavezzone” ed i “Pilieri”.
Questi
ultimi erano dei pezzi di legno rotondi alti quanto una persona, distanti circa
2 metri alla cui sommità erano legati degli anelli a cui collegare il cavallo
con le corde del Cavezzone. All’interno dei due Pilieri si inseriva il Cavallo
da educare. Molto spesso veniva utilizzato un solo Piliere come vedremo poi in
alcuni trattati portoghesi e spagnoli.
Il torneo di Belvedere in Vaticano
Oltre
a Napoli, Pignatelli insegnò anche a Roma come Maestro personale del Cardinale
Alessandro Farnese. E’ nella frequentazione della Corte romana che viene
inserito in una delle manifestazioni piu’ importanti del periodo. Il
particolare interesse a questo Maestro Napoletano non è dovuto solo alla sua
grande fama europea, ma, per quello che ci interessa in questo libro, è la sua
esperienza in ambito di Giostra.
Il torneo di Belvedere in
Vaticano fu realizzato il 5 Marzo del 1565 e fu uno tra i piu’ importanti in
ambito italiano per numero di partecipanti e qualità dei Cavalieri. Fu l’ultimo
organizzato a Roma come Torneo Militare. Da li a poco furono i “Caroselli” a sostituire come
intrattenimento equestre i piu’ valorosi ma pericolosi tornei Medievali e
Rinascimentali. Il Torneo era composto da 12 squadre di Cavalieri, tutte
capeggiate da grandi nobili del tempo. Il Maestro Giovan Battista Pignatelli
era nella quarta squadra al comando di Domenico Massimi. Precedevano: un
suonatore di timpano alla moresca, con quattro suonatori di trombe, tutti a
cavallo; sette paggi a cavallo, ognuno bardato
sino a terra di dobletto napolitano bianco e rosso cangiante, a fioroni, e dei
medesimi colori vestiti essi stessi con vesti lunghe, cappelli alla stradiotta,
scimitara al fianco, targhe al bracio e zagaglie in mano.
I
dodici cortei erano quindi molto numerosi. All’ingresso i padrini dovevano
riconoscere le lance e le spade tutte uguali senza punta né filo. I colpi dati
dal mezzo petto in giu’ non avevano punteggio, parimenti se cadevano a terra
lance e spade. Se il cavallo veniva colpito veniva risarcito il cavaliere offeso,
e se lo uccideva, oltre al risarcimento il Cavaliere veniva espulso dal torneo.
Le
dodici fazioni, sei contro sei in campo aperto, iniziarono subito i
combattimenti e come il regolamento prevedeva era possibile realizzare solo due
tornate di lancia e dopo di esse si procedeva di spada. Una vera e propria
battaglia che impegnò ardentemente tutti i cavalieri con il divertimento e
grande stupore del pubblico.
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